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Le considerazioni di Giancarlo Sciascia curatore, per #IF2014, di una delle giornate di culture is smarter

La riflessione attuale e le pratiche locali in ambito culturale in Italia pongono alla nostra attenzione una dinamica che tende all’affermazione graduale di un cambiamento di paradigma. Due sono i poli di questa trasformazione: 1) i processi emergenti di innovazione sociale ed economia della condivisione autentica, con la costruzione di comunità tematiche e/o territoriali; 2) le sperimentazioni di percorsi partecipativi promossi dal pubblico che, a fronte di una riduzione delle risorse disponibili e della volatilità del consenso politico, si propone quale soggetto facilitatore dei processi di collaborazione civica e infrastruttura istituzionale per liberare energie e favorire la creazione di economie.
Complice la cornice europea (l’assunto da cui parto è che in sostanza le smart cities siano – o passano essere – l’effetto di un cambio di prospettiva che esalta le vocazioni territoriali) che ci sprona a seguirne le linee guida (se non per attrazione appassionata, almeno per esclusione, vedendo nei fondi comunitari una fonte di finanziamento di maggior rilievo e affidabilità) e ammesso che si sia giunti oltre una soglia di non ritorno, cosa caratterizza questa transizione?
In entrambi i casi, processi emergenti e percorsi di e-democracy non possono far a meno di una pre-condizione: le competenze di base per animare le comunità (composte da cittadini, operatori della PA e del non profit) e accompagnarne l’invenzione di soluzioni collaborative a problemi emergenti.
Altro fattore comune e terreno di relazioni p2p e creazione di conoscenza sono le tecnologie digitali che ospitano queste nuove pratiche: uno strumento fondamentale per documentare processi inediti, misurare i risultati dei percorsi in essere, supportare la co-progettazione delle comunità, ospitare i contenuti generati dagli utenti, favorirne il remix e stimolare la creazione di impresa culturale.

Con Culture is Smarter lo scorso 10 ottobre abbiamo attraversato questi territori ponendoci delle domande sulle condizioni per costruire o consolidare un ecosistema locale sano e capace di spostare il focus sulle filiere, sui processi, sul come unire gli attori e stabilire un dialogo proficuo con le istituzioni.

Siamo partiti con una carrellata di progetti locali di rigenerazione urbana, storytelling sociale e innovazione culturale, esperienze che abbiamo posto di fronte agli strumenti di business ethics che segnano il mind setting opportuno per perseguire la sostenibilità dei propri progetti tramite scelte responsabili e graduali miglioramenti.

Abbiamo approfondito la difficoltà di valorizzare il patrimonio culturale materiale attraverso nessi e contenuti digitali, gli open data per la cultura; registrando la volontà di unire le forze per individuare azioni pilota che possano esser replicate e scalate, e anche in questo caso sottolineando la necessità di muovere il primo passo con l’educazione di base per cogliere le opportunità. Manca “cultura del dato” e bisogna puntare sulla scuola per ampliare la cultura digitale per l’innovazione sociale.
Nelle digital library di dimensione regionale è stata suggerita una possibilità concreta per connettere patrimonio materiale e immateriale con l’uso di tecnologie già disponibili, senza investimenti proibitivi e con ricadute importanti in termini occupazionali, generando output narrativi capaci di alimentare il marketing digitale delle destinazioni e di diffondere informazione iperlocale in modo capillare e partecipato.

Definito il perimetro e il peso dell’industria creativa in Italia, abbiamo constatato vizi e virtù per quanto riguarda la carenza di risorse per l’innovazione culturale in Italia. Ad esempio, se da un lato abbiamo una normativa avanzata in fatto di equity crowdfunding, registriamo una situazione a macchia di leopardo e lamentiamo forti ritardi rispetto alla dimensione “economy” delle smart cities (i cui principali fattori “standard” di competitività sono imprenditorialità, qualità del lavoro, produttività, credito; e i cui fattori “smart” di innovazione sono ricerca e sviluppo, brevettualità, connessione in rete, comportamenti innovativi, relazionalità internazionale). Analogamente, la grande concorrenza fra più di 50 piattaforme di raccolta fondi online finisce per indebolirle quasi tutte e disorientare i progettisti.

Infine è arrivato il momento di inPITCHati: una ventina di proponenti si sono incontrati fra loro e confrontati con i mentori, abbiamo scoperto progetti molto eterogenei (da spinoff universitari assai maturi a inedite piattaforme online dirompenti, dal cibo alle reti p2p su informazione o conoscenza) ma accomunati da grande ambizione e pragmatismo basato su una lucida analisi di specifiche nicchie, in un clima contagioso di fiducia.

Facciamo adesso un bilancio e annotiamo i buoni propositi per la prossima edizione: il tempo che abbiamo avuto per approfondire è stato poco, è stata una giornata molto intensa ma in molti avremmo desiderato che durasse di più, subendo in piena la magia del cosiddetto effetto festival, facile a dirsi ma difficile a farsi, la piacevole sensazione di poter conoscere in così poco tempo tante storie e persone interessanti, a volte coraggiose, al passo coi tempi. Quella bella certezza di sapere che, mentre ascoltiamo con attenzione qualcosa che ci sta a cuore in un ambiente in cui ciò che pensiamo è raccolto con altrettanta considerazione, ci stiamo perdendo qualche altra esperienza emotivamente e cognitivamente avvincente.

IF2015 comincia già a mancarmi perché rappresenta per me un laboratorio, un’occasione unica per far incontrare intelligenze e sensibilità. In attesa di scoprire il tema che farà da fulcro per la prossima edizione, ciò che abbiamo vissuto quest’anno mi fa pensare che la mia proposta per l’anno prossimo sarà all’insegna del motto Less is more: con meno protagonisti per aver più tempo per approfondire alcuni casi di studio e lavorare insieme alla co-progettazione di strategie e soluzioni, facendo tesoro di best practices internazionali e rappresentando la complessità dei vari punti di vista presenti, fino a giungere a una sintesi condivisa, sperimentando metodologie di lavoro che restino come legacy della nostra pratica di comunità.

Tutti gli atti della giornata del 10 ottobre presso la Scuola Normale Superiore, arricchiti da documenti di approfondimento talvolta inediti, curati dai relatori che hanno partecipato, sono disponibili qui. Elisa Cecilli ha poi ricucito e allargato lo spettro della riflessione dando seguito alle testimonianze presentate nel primo incontro #materiasensibile: a giorni su The stream magazine

Grazie a tutte/i per aver partecipato e all’organizzazione per questa così bella opportunità di confronto. Arrivederci! ☺

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